Tesi “Mediazione Familiare”

Tesi Mediazione familiare

Luciana Baldin

A.S.P.I.C. MASTER DI MEDIAZIONE FAMILIARE


Tesi mediazione familiare

A.S.P.I.C

ASSOCIAZIONE PER LO SVILUPPO PSICOLOGICO
DELL’INDIVIDUO E DELLA COMUNITA’

Scuola Superiore Europea di Counseling Professionale

MASTER DI MEDIAZIONE FAMILIARE

“Mediazione Familiare”

Allievo Luciana Baldin

Tesi mediazione familiare

Supervisore Marco Andreoli

SOMMARIO

1 – UN PO’ DI STORIA E COS’È LA MEDIAZIONE FAMILIARE………………………….3
2 – CHE COS E’ LA FAMIGLIA………………………………………………………………………13
3 – TIROCINIO…………………………………………………………………………………………..19
caso positivo
caso negativo
caso in essere

4 – COUNSELOR E MEDIATRICE FAMILIARE………………………………………………47
5 – CONCLUSIONE…………………………………………………………………………………….51
6 – RINGRAZIAMENTI………………………………………………………………………………54


  1. UN PO’ DI STORIA E COS’È LA MEDIAZIONE FAMILIARE

Tesi mediazione familiare

Immagino che la mediazione familiare in qualche modo sia sempre esistita, non si sapeva che fosse mediazione, non se ne parlava. Avveniva in modo spontaneo, ci si rivolgeva all’anziano della famiglia, al medico e al prete della comunità.
Le persone, tanto tempo fa, non erano in grado di tenere dentro di se dolori, sofferenze, conflitti, dubbi senza il bisogno di parlarne con qualcuno. E soprattutto non avevano la possibilità di farlo! L’istituzione della mediazione familiare ha incominciato ad emergere proprio per sopperire alla mancanza di quella modalità semplice e spontanea. L’individualismo e la chiusura interiore verso l’altro hanno portato solitudine, divisione e sempre più conflitti interiori. Si è persa l’abitudine di raccontare cosa ci succede e come conseguenza la comunicazione è venuta a mancare. Fino al punto di essere incapaci di farlo.
Ecco l’esigenza sociale di una persona ben definita che possa essere in grado di comprendere ed aiutare ad affrontare l’incapacità di comunicare. Il mediatore familiare.
Si inizia a parlare, infatti, di mediazione nel quinto secolo a.C.. Quando in Cina Confucio…, avvertendo degli esiti potenzialmente negativi del processo che avrebbe potuto lasciare i contendenti insoddisfatti e incapaci di cooperare.., invita il popolo a rivolgersi ad un terzo neutrale che avrebbe facilitato il raggiungimento di un accordo.
Si sa anche (dagli scritti di Gulliver e di Roberts degli anni settanta), che in certe regioni africane è molto remota la tradizione di chiedere ad un consiglio di anziani di intervenire e risolvere le controversie tra villaggi (o tra famiglie del villaggio).
Nel 1923 Grinnel descrive, tra i doveri dei capo Cheyenne, quello di pacificare e intervenire per risolvere qualsiasi lite fosse sorta nel campo
Il primo centro di mediazione familiare nasce nel 1974 ad Atlanta per opera dello psicologo e avvocato statunitense James Coogler. Nel 1975, sempre ad opera di Coogler, nasce la Family Mediation Association. Offre un servizio di mediazione alle coppie in via di separazione o divorzio.
La mediazione familiare è un intervento professionale. É rivolto alle coppie ed è finalizzato a riorganizzare le relazioni familiari in presenza di una volontà di separazione e/o di divorzio. Obiettivo centrale della mediazione familiare è il raggiungimento della co-genitorialità (o bi-genitorialità) . Ovvero la salvaguardia della responsabilità genitoriale individuale nei confronti dei figli, in special modo se minori.
La mediazione familiare è una disciplina trasversale. Utilizza conoscenze proprie alla sociologia, alla psicologia e alla giurisprudenza; finalizzate all’utilizzo di tecniche specifiche quali quelle di mediazione e di negoziazione del conflitto.

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Requisito indispensabile per intraprendere un percorso di mediazione familiare è l’assenza di conflitto giudiziale in corso. La mediazione familiare è infatti finalizzata al raggiungimento degli obiettivi definiti dalla coppia al di fuori del sistema giudiziario. Si ricorre a quest’ultimo (separazione e/o divorzio consensuale) solo per le omologhe di Legge degli accordi raggiunti. Tale tipologia di mediazione che affianca gli aspetti emotivi a quelli più strettamente legali è spesso definita anche mediazione globale.

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In Italia
Parallelamente alle prime esperienze francesi nel 1987 si costituisce a Milano l’associazione GeA (Genitori Ancora) con l’intento di divulgare la pratica della mediazione familiare.
Nonostante la sostanziale indifferenza sia del legislatore che degli organi giudicanti, nascono un po’ in tutta Italia centri sperimentali di mediazione familiare. Cui fanno seguito le prime scuole per formare i futuri mediatori familiari.
Successivamente nascono alcune associazioni con l’intento sia di raggruppare i vari mediatori familiari sul territorio sia di diffondere la cultura della mediazione stessa. L’obiettivo è inoltre quello di definire, in assenza di una regolamentazione statale, alcuni criteri quali quelli formativi e deontologici.


In Emilia Romagna
La Regione Emilia Romagna è l’unica, in Italia, nella quale il servizio pubblico di mediazione familiare, è diffuso in modo capillare ed omogeneo su tutto il territorio regionale. Accogliendo circa 1000 richieste all’anno. L’intervento, attivato nel 1994 inizialmente solo nelle città capoluogo, è completamente gratuito ed è collocato presso i Centri per le Famiglie. (attualmente 32 in tutta la Regione). A partire dal 2002 l’attività di mediazione familiare in Regione è supportata e coordinata da un servizio appositamente istituito.
Attualmente in Italia la mediazione familiare non è una professione regolamentata. Non esiste cioè un organo istituzionale vigilante (come un Albo o un Ordine professionale) né dei requisiti minimi definiti dallo Stato per poterla esercitare. Solitamente viene praticata da figure professionali già strutturate – quali avvocati, psicologi, assistenti sociali.
Dal 2013 uscì la legge 4/2013 che costituisce la normativa di riferimento in materia di: ‘professioni non organizzate in ordini o collegi’, o anche ‘professioni associative’. Tale seconda denominazione discende dalla regolamentazione della stessa L. 4/2013 che prevede la possibilità di formare associazioni di natura privatistica per le professioni senza albo.
Le associazioni non hanno vincolo di rappresentanza esclusiva della professione in questione, lasciando così sussistere la possibilità che ne esistano varie per la medesima figura.
La legge 4/2013 contiene la regolamentazione delle professioni non riconosciute, cioè quelle senza albo e non ordinistiche. Sebbene le associazioni di professioni non regolamentate forniscano garanzie peculiari, è possibile esercitare le attività della figura anche in autoregolamentazione. (Se in conformità con la normativa tecnica UNI direttiva 98/34/CE).
UN, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, è un’associazione privata senza scopo di lucro riconosciuta dallo Stato e dall’Unione Eurasi. Elabora e pubblica norme tecniche volontarie appunto le norme UNI in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario
I compiti principali dell’UNI sono
• elaborare nuove norme in collaborazione con tutte le parti interessate;
• rappresentare l’Italia nelle attività di normazione a livello mondiale (ISO) ed europeo (CEN). Allo scopo di promuovere l’armonizzazione delle norme, recepire norme EN o EN ISO occupandosi eventualmente della traduzione;
• pubblicare e diffondere le norme tecniche ed i prodotti editoriali ad esse correlati.
La commissione tecnica Attività Professionali non regolamentate ha pubblicato la norma nazionale UNI 11644 in relazione alla figura del mediatore familiare.
La norma si prefigge lo scopo di definire in modo adeguato ed univoco i riferimenti della figura professionale di mediatore familiare. Stabilendone, altresì , una omogeneizzazione dei programmi di formazione promossi da enti pubblici e/o privati. Al fine di garantire un livello qualitativo di formazione e garanzia dell’utenza nell’incontrare mediatori dotati di adeguata professionalità e dei professionisti stessi
Recentemente la Legge nº 54 dell’8 febbraio 2006, modificando l’articolo 155 del Codice civile, ha introdotto alcuni importanti aspetti legali per la mediazione familiare con l’introduzione dell’affido condiviso. Tale Legge, la prima in Italia sull’argomento, è frutto dell’opera di mediazione del Prof. Marino Maglietta, presidente dell’associazione “Crescere Insieme”. Dal 1993 si occupa da un punto di vista giuridico delle tematiche legate alla mediazione familiare e all’affido condiviso.
Benché la figura professionale del mediatore familiare non sia regolamentata, esistono alcuni corsi di formazione riconosciuti da Regioni ed erogati da agenzie formative accreditate. Rilasciano un attestato di qualifica professionale di “Esperto Mediatore Familiare”.
Alcune Regioni italiane, attraverso lo strumento della Legge regionale, hanno istituito al proprio interno, alcuni elenchi di professionisti in possesso di particolari caratteristiche. (generalmente presso l’Assessorato di riferimento, ovvero quello alla Politiche Sociali).

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Tali elenchi sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 131/2010. “In contrasto con il principio fondamentale, in materia di regolamento delle professioni, in base al quale spetta esclusivamente allo Stato l’individuazione delle figure professionali con i e relativi profili e titoli abilitanti”.
Tali elenchi sono tuttavia da non confondere con Albi o Ordini Professionali, che presentano criteri diversi e più rigorosi per l’accesso. In quanto la Mediazione Familiare rimane, appunto, una professione non regolamentata.
Secondo l’ autorevole opinione del costituzionalista Costantino Mortati, il principio democratico sancito dalla Costituzione ben si adatta alla mediazione familiare; perché essa mira a ripristinare la democraticità in seno alla famiglia, a tutelare ogni persona della famiglia stessa ed in particolare i soggetti più deboli.
Secondo il dettato costituzionale il ricorso all’ intervento mediativo deve essere frutto di una scelta consapevole di una famiglia in crisi. Il mediatore aiuterà a recuperare la propria progettualità attraverso la consapevolezza del proprio potere di intervento sulla realtà circostante, sia pure nella metamorfosi generata dalla crisi.
Che la mediazione sia a sostegno della genitorialità è sottolineato anche dall’ art. 30 della Cost.(I e II co. “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i figli. Nei casi di incapacità dei genitori la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. (Quando parla di funzione educativa, intesa anche come servizio di educazione dei genitori).
Infine il giurista si avvale dell’ art. 32 della Cost. –

“la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”

– per considerare la mediazione come mezzo di tutela della salute perché aiuta a prevenire o attenuare alcune patologie di cui possono soffrire i minori proprio a seguito della separazione dei genitori.

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La coppia che si separa può essere paragonata ad un puzzle dal quale se ne possono ricavare due altrettanto finiti. Anche se in questo momento i clienti vedono solo delle tessere mischiate. Quando può essere utile la mediazione familiare?
La mediazione familiare può essere utile quando:
• in tutti quei casi dove i coniugi non riescono più a comunicare in modo efficace o a sostenere un dialogo. Spesso le discussioni sono troppo cariche di emozioni e sentimenti di accusa e avvengono in modo veloce e furibondo. In questo modo diventa impossibile metterli d’accordo anche per le questioni più semplici, per esempio a chi andrà il vaso regalato dalla zia;
• la coppia non raggiunge un’intesa sulla separazione dei beni o sull’importo dell’assegno di mantenimento;
• non si riesce proprio a mettersi d’accordo tra ex-partner sull’organizzazione della vita quotidiana dei figli, la scuola, il tempo libero, le spese ordinarie e straordinarie;
• entrambi sono immersi in un percorso giudiziario interminabile che la sta sfiancando moralmente ed economicamente;
• uno dei due o entrambi stanno formando una nuova famiglia e non trovano la modalità più indolore per comunicarlo ai figli.
La mediazione familiare può non funzionare:
• se uno dei due è soggetto a forme di dipendenza (droghe, alcool, gioco d’azzardo) che precludono la negoziazione di un accordo equo;

• quando non si è ancora del tutto rinunciato alla possibilità di tornare insieme;
• se ci sono ancora in corso dei procedimenti giudiziali (denunce, querele, ecc…);
• se uno dei due assume un comportamento violento che va oltre i normali litigi.

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Quali sono le fasi della mediazione familiare?
Le fasi della mediazione familiare si articolano in questo modo:
• se i componenti la coppia hanno già maturato la decisione di separarsi, possono, in modo volontario, scegliere il mediatore familiare tramite i siti internet delle principali associazioni nazionali. Le più rappresentative sono iscritte in un apposito elenco depositato presso il Ministero dello Sviluppo Economico e sono A.I.Me.F. (Associazione Italiana Mediatori Familiari), A.I.M.S. (Associazione Internazionale Mediatori Sistemici) e S.I.Me.F. (Società Italiana di Mediatori Familiari);
• il mediatore incontrerà la coppia, la mediazione familiare non può funzionare con uno solo. La prima volta chiederà alcune informazioni utili, anagrafiche e logistiche sulla vita della coppia. Per esempio se vivono ancora assieme, se i loro figli abitano con loro e la loro situazione economica e lavorativa;
• la coppia espone quali sono le questioni su cui vuole raggiungere gli accordi. Potranno essere trattati aspetti economici (come discutere l’importo dell’assegno di mantenimento) e logistici (per esempio sulla gestione e i turni di cura dei figli). Gli argomenti scelti da entrambi verranno inseriti nel contratto di adesione al percorso della mediazione familiare;
• il mediatore familiare guiderà entrambi nell’elaborare le modalità per risolvere i problemi sollevati. Non decidendo lui per loro, ma incoraggiandoli a trovare delle soluzioni, grazie a strumenti di comunicazione e negoziazione;
• la svolta, di solito, avviene quando, superata la rabbia che non li fa schiodare dalle rispettive posizioni, entrambi si concentreranno sulle possibilità che saranno più vantaggiose per il “sistema famiglia”;
• infine si procederà alla stesura dell’accordo redatto dal mediatore familiare contenente dettagliatamente le opzioni concordate. (l’importo dell’assegno di mantenimento, i turni di visita, i weekend coi figli, le vacanze natalizie, ecc…). La revisione di esso avverrà presso i rispettivi avvocati e sarà poi depositato al giudice che, non riscontrando irregolarità, lo convaliderà. Questo significa che avrà a tutti gli effetti valenza giuridica.
Quali sono i vantaggi per chi decide di avvalersi della mediazione familiare?
Chi decide di portare a termine la mediazione familiare, in genere dopo 10-12 incontri, probabilmente avrà raggiunto gli accordi di separazione o divorzio su cui non riusciva in modo autonomo a trovare dei punti d’incontro con l’ex partner. E questo è sicuramente il beneficio principale. Inoltre, spesso i due componenti della coppia riprendono finalmente a comunicare in modo sano ed equilibrato; cosa che permetterà loro nel futuro di prendere le decisioni in modo comune su tutto quello che riguarda la vita di eventuali figli. Il tutto condito anche da un risparmio economico, in quanto il percorso della mediazione familiare costa molto meno rispetto a quello giudiziario. Ma soprattutto i membri della coppia, in separazione, si garantiscono così, un ruolo di protagonisti attivi nel processo di separazione. Senza subire passivamente le decisioni prese da un’autorità superiore come quella giudiziaria.

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  1. CHE COS’E’ LA FAMIGLIA
    E’ pensiero ricorrente affermare che l’unica famiglia è quella con mamma e papà; diventa quindi fondamentale comprendere che cos’è la famiglia per gli italiani. Nel 1948 la Costituzione riconosceva la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” (art 29). La definizione, tuttora presente nella Costituzione nasconde una contraddizione formale: definisce la famiglia come società naturale e poi ne appoggia il suo fondamento ad un’istituzione giuridica, come il matrimonio e non ad un processo naturale.
    Questa contraddizione, riconosciuta da molti giuristi, ci è utile per comprendere quanto fosse difficile già nel 1948, fornire una definizione univoca e chiara di famiglia.
    Ancora di più oggi non esiste una definizione di famiglia universalmente riconosciuta: giuridicamente, esiste un “modello” di famiglia che è quello della famiglia prima delle grandi riforme sociali, prima della legge sul divorzio (padre madre, uniti in matrimonio e i figli da loro generati) e poi esistono molti “casi particolari” ed “eccezioni” che vengono giuridicamente e socialmente assimilati nel funzionamento alla famiglia ma non sono pienamente riconosciuti come famiglie.
    Ma come intendiamo la famiglia, noi italiani? Che tipo di rappresentazione ne abbiamo? Esiste ancora in ognuno di noi l’idea di una famiglia “con mamma e papà” e di una serie di eccezioni, di modelli divergenti, di “semi-famiglie” o consideriamo che esistano diversi modi di fare famiglia a cui diamo pari dignità e valore? Ha ancora senso parlare di famiglia: esiste ancora qualcosa di peculiare che contraddistingue questo concetto nella mente delle persone?
    Al fine di comprendere in modo più chiaro come si organizza oggi il concetto di famiglia nella mente degli italiani, il Centro Studi Famiglia ha organizzato una ricerca intervistando diverse decine di persone e chiedendo loro di fornire una definizione di famiglia. L’analisi delle risposte ha confermato l’ipotesi: ognuno di noi ha una rappresentazione dell’organizzazione della famiglia estremamente diversa.
    Alcuni considerano che esista una famiglia solo laddove sono presenti dei figli, altri danno valore di famiglia anche alla relazione di coppia. Alcuni pensano che per parlare di famiglia sia necessaria la convivenza tra un uomo e una donna, altri no. Alcuni considerano la famiglia allargata, la dinastia e altri includono nella famiglia gli animali domestici o addirittura le piante.
    Quindi, possiamo tranquillamente affermare che nella mente degli Italiani, la famiglia naturale, quella con mamma e papà non è più il modello prevalente: esistono moltissimi e diversissimi modi di intendere la famiglia, tutti con pari dignità.
    Ciò che è apparso in modo chiaro ed inaspettato dall’analisi delle interviste è, invece, la presenza di un grandissimo consenso rispetto alle funzioni della famiglia, alla sua rappresentazione affettiva. Tutti gli intervistati descrivono la famiglia come un luogo positivo, fondamentale per gli affetti che lì si sviluppano, per l’intensità delle relazioni presenti, per i legami profondi e per la sua funzione di protezione reciproca.
    Alcuni esempi di verbalizzazioni possono aiutare a capire cosa intendo: “La famiglia è un luogo in cui ci si sente protetti, è casa, è il posto dove puoi trovare il calore di un abbraccio, un posto dove le persone si vogliono bene, anche se a volte litigano E’ il luogo dell’amore incondizionato nei confronti di persone che hai scelto. E’ la forza del gruppo che ti permette di andare avanti e superare le difficoltà”.
    Quindi, se nella mente delle persone l’organizzazione concreta della famiglia si declina in modo molto diverso a seconda dei modelli culturali e religiosi, la funzione affettiva della famiglia sembra essere riconosciuta in modo simile, universalmente. Tutti pensiamo che la famiglia ci protegga, ci accolga e sia il luogo in cui si sviluppano legami fondamentali per la nostra vita. La famiglia, in sostanza, non è necessariamente formata da un padre e una madre ma resta comunque il luogo della protezione, dove si formano legami profondi e continuativi.
    Come ha teorizzato Bowlby nel 1969, legame e protezione sono le caratteristiche più importanti della funzione di attaccamento: ogni mammifero, per predisposizione biologica tende, fin dai primi mesi, a stabilire dei legami rassicuranti con chi si prende cura di lui e a ricercare in questa figura, protezione.
    Dal punto di vista etologico, questi legami favoriscono la sopravvivenza della specie in quanto permettono a noi mammiferi di essere protetti e di apprendere da chi ci sta vicino, il nostro stile relazionale e sociale, il nostro modo di stare insieme. Sembra quindi che la famiglia mantenga ancora oggi questo ruolo importantissimo per l’uomo. E’ il luogo privilegiato del legame di attaccamento, sia per i bambini che per gli adulti.
    Alla luce di queste osservazioni l’idea che un simile legame possa svilupparsi soltanto all’interno di un nucleo creato da un uomo e da una donna appare, sinceramente, bizzarra. Basta rievocare gli esperimenti di Konrad Lorenz sull’imprinting, quando lui stesso si trovava a venire riconosciuto come oggetto di attaccamento dai piccoli di anatra dopo essersi preso cura di loro alla nascita. Per comprendere che ciò che qualifica la famiglia non è la rappresentazione iconica del padre e della madre ma la cura reciproca e il naturale legame di attaccamento.
    Quindi, qualora ci trovassimo costretti a giudicare se una coppia o un gruppo di individui possa o meno essere definito “famiglia”, non possiamo più in alcun modo riferirci alla sua organizzazione, al sesso dei suoi membri o al modo in cui si è stabilito il vincolo. Possiamo forse meglio rispondere al quesito valutando se sono presenti dei legami di protezione e di cura reciproca, ovvero cercando di capire se i membri di quella coppia, di quel gruppo di persone si proteggono reciprocamente e, nella sostanza, si vogliono bene.
    Il legame che si crea dalla famiglia va ben oltre a quella del padre e della madre : Esistono i nonni , gli zii, le zie, i cugini, le cugine , le moglie e mariti degli zii e i parenti lontani. Possiamo parlare di famiglia allargata? E’ sempre esistita la famiglia allargata e potrei dire che nessuno ha mai avuto modo di sentirsi solo. I figli sono figli di tutti e non vi erano confini
    Il concetto di famiglia, in fondo, non è altro che questo: la sicurezza che a qualunque ora tornerai a casa, ti aspetteranno per cena. E questa sicurezza non ha legami di sangue, non ha genere.
    Quanto prima capiamo che dobbiamo rendere fluido, espandibile, il concetto di famiglia, tanto prima costruiremo un muro di relazioni che potrà essere l’unica difesa contro la bestia più feroce della contemporaneità,”il mostro della solitudine”, che, tra l’altro, ci rende deboli politicamente, sconnessi socialmente, emotivamente malati.
    In un mondo così, chi ha il coraggio di non accettare la potenza di una verità così semplice, e cioè che tutti possono essere famiglia?
    La famiglia provvede a svariate funzioni sociali:
    • Funzione emotiva -affettiva.
    • Funzione assistenziale, di cura e di sostegno nelle avversità fisiche e psicologiche.
    • Funzione educativa.
    • Funzione riproduttiva. …
    • Funzione economica. …
    • Funzione di protezione dai pericoli esterni.
    • Funzione socializzante. …
    • Funzione etica e religiosa.
    • Pilastro portante della società
    • Culla dell’identità
    • Strumento di mediazione tra il bambino e la società
    La famiglia infatti, se funzionale, riesce ad assolvere a numerose ed importanti funzioni a favore della società è viceversa. E’ possibile, ma non è affatto conveniente, come spesso si vorrebbe e si è tentato di fare, rompere questo intimo sodalizio tra famiglia e società, in quanto se paragoniamo le famiglie alle cellule di un individuo, così come le cellule hanno bisogno dell’intero organismo per vivere, anche l’organismo ha bisogno delle cellule per la sua salute e per la sua sopravvivenza. Pertanto se la famiglia, ogni famiglia, ha bisogno della società, questa, a sua volta, non può fare a meno delle famiglie.
  2. TIROCINIO

CASO POSITIVO

1° Incontro
Accolgo i clienti e presentandomi ascolto le loro richieste per comprendere di cosa avessero bisogno. Una mediatrice o un counselor: succede spesso che coppie arrivino e chiedono qualcosa di diverso da quello che pensavano. Li chiamerò per convenzione Paola di 28 anni e Francesco di 32. Sono già separati, hanno due bimbi, una di 3 l’altro di 5 anni. Ognuno ha la propria abitazione. Hanno già un piano regolarizzato dal giudice sulla gestione del tempo e la quota di mantenimento dei loro due figli.
Mi trovo sorpresa nel sapere che, Francesco, fornisce una quota in denaro anche a Paola (anche se non è tenuto a farlo). Ma subito non voglio sapere il motivo: lo avrei capito in seguito. Non mi appartiene il non indagare ulteriormente in casi come questo, ma in questo caso ho sentito che non era il caso di intervenire. Ed è stato molto utile. Sono fiera di me per essere stata capace di attendere i tempi dei clienti!
Chiedono di modificare gli orari e i giorni, in quanto le cose tra loro genitori erano un po’ cambiate, migliorate se vogliamo, e il padre necessitava di vederli di più. Mi chiedono inoltre di aiutarli nella loro modalità di comunicazione. In quanto la madre sosteneva che i bambini quando erano con il padre o alla notte facevano brutti sogni o erano di cattivo umore.

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Mi accerto se mi è possibile modificare una sentenza del giudice! (Anche perché loro mi comunicano che non hanno intenzione di comunicarlo all’avvocato e né tanto meno al giudice). Ne chiedo la motivazione e la risposta è che avevano capito che quella modalità burocratica era davvero limitata e, a loro parere, ingiusta. In quanto , soprattutto il padre , non si era sentito né ascoltato e né capito.
Nel frattempo, avendo compreso che era un caso da mediazione, comunico loro il mio ruolo. Sostengo che è un’opportunità in quanto, nel momento in cui sarebbero uscite emozioni, dubbi, incertezze, dissensi, cambio di idea o quant’altro, si sarebbe potuto affrontarle e soffermarci. Cosa che in un tribunale non sarebbe così scontato, confermando così quello che avevano già espresso.
Comunico altre piccole regole. Quella di parlare rivolgendosi a me e non sovrapporsi, spiegandone anche il motivo: e cioè per evitare di portare avanti una modalità che si era inserita tra loro e che, appunto, permetteva una cattiva comunicazione. Comunicando tramite me avrebbero avuto la possibilità di ascoltarsi e vedersi in modo diverso. La riservatezza di tutto quello che avrebbero detto non sarebbe uscito dalla sede. Se ci fosse stata la necessità ci sarebbero stati degli incontri individuali; alla fine della mediazione se richiesto avrei lasciato l’accordo scritto.
Comunico che non sono in possesso ancora dell’abilitazione di mediatrice ma, che la struttura dove sto operando e la scuola che frequento, mi tutelano e mi concedono, la possibilità ugualmente di operare, in quanto tirocinante. Probabilmente l’empatia è scattata e mi rispondono che a loro va bene e che sono disposti ad intraprendere questo percorso.
Faccio firmare un documento che attesta quanto sopra.
Comunico, inoltre, che sono in possesso dell’abilitazione di counselor. Spiegando la funzione della professione mi rispondono che si sentono ancora più al sicuro e tutelati. La madre mi comunica che molte volte non riesce a parlare col padre, in quanto ha timore delle sue reazioni e quindi mi chiede di aiutarla.

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2° Incontro
Mi arrivano con il planing settimanale da modificare. É evidente che il padre è molto penalizzato ed è anche evidente che agevolarlo non fu la priorità del giudice.
Mi informo su quale sia stato il motivo di tale scelta da parte del giudice. Paola mi comunica che ci sono stati episodi di litigio e prese di posizioni da parte dell’ex marito. Non trovando un accordo, venne proposto tale planing in modo perentorio ed indiscutibile.
Che cosa è cambiato da allora?
Fanno parte di un gruppo di chiesa e negli incontri tra i loro componenti, ne parlano e discutono e nel tempo si ammorbidisce la relazione.
Chiedo quali sono stati i conflitti che non hanno permesso una buona relazione e Paola inizia a raccontare. Quando rimase incinta del secondo figlio, Francesco, incominciò a manifestare atteggiamenti insofferenti al punto che se ne andò di casa. Ebbe un amante e quando Paola partorì lui andò in ospedale ma si messaggiava continuamente con la sua amante.
Dice inoltre che il carattere di Francesco era rissoso e scostante e che ha vissuto episodi pesanti precedentemente e ne racconta un paio. All’epoca aspettò che Francesco ritornasse a casa con i loro figli ma questo non accadde.
Paola chiede pertanto la separazione e Francesco incomincia a pentirsi e a rivolere la sua famiglia. Ma per Paola qualcosa era morto dentro e non volle ritornare indietro sui suoi passi.
Mentre Paola racconta, Francesco esordisce dicendo che non smetterà mai di lottare per far ritornare Paola con i bambini da lui. É che una seconda chance la merita
Quali sono le motivazioni per meritare la seconda chance?
Perché sono cambiato? Ho capito i miei errori. Perché ho capito il valore di Paola. Quello che pensavo fossero difetti sono pregi, perché anche lei ha un caratterino e non è facile e questo caratterino mi piace.
Paola conferma che è migliorato, ma lei lo teme ed è impaurita dalle reazioni passate. Secondo lei sono ancora presenti in lui e i bambini quando stanno con lui e ritornano a casa raccontano che alla notte hanno avuto incubi
Mi trovo di fronte a qualcosa di inaspettato per me. Francesco è innamorato ancora di Paola e vorrebbe riunire la sua famiglia.
Propongo un incontro individuale con ciascuno dei due, in quanto ritengo necessario approfondire.

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1° Incontro individuale con Paola
Incominciamo riprendendo quanto aveva detto Francesco e la mia domanda è se Paola sia interessata ancora alla relazione di coppia con Francesco. Lei mi risponde assolutamente di no, non si fida. Ne ha passate molte e secondo lei Francesco non ha nemmeno un atteggiamento di essere davvero pentito e nemmeno di scuse.
Mi racconta altri episodi e, mi rendo conto che, Francesco è in uno stato di sofferenza con se stesso e che sarebbe utile per lui un buon percorso personale.
Paola malgrado tutto è molto disponibile. Ha una situazione interiore equilibrata, una famiglia alle spalle protettiva e molto benevola nei suoi confronti, una buona relazione con la sorella. I conflitti che Francesco portava nella sua vita, per lei, sono incomprensibili e inaccettabili, soprattutto per i suoi figli.
Mi rendo conto che vive in una “bolla” poco consona alla realtà ed è poco abile a gestire i conflitti . É molto probabilmente anche i suoi interiori, perché è chiaro che lei non ne è esente.
Ha lasciato gli studi per fare la mamma ma anche perché Francesco non voleva che continuasse. Vuole riprendere a studiare!
Si crea una bella relazione tra me e Paola. Si lascia andare nel raccontare fatti molto intimi, ma non comprendendo molto il perché. Intuisco che una parte di Paola è ancora interessata a Francesco e chiudo l’incontro con una silenziosa domanda a me stessa: ma come posso avere questa sensazione? Lei è stata molto chiara e, sinceramente, fossi al suo posto, Francesco non lo vorrei nemmeno io.
Chiedo se posso, qualora fosse utile, parlare con lui presente. Mi chiede di non toccare l’argomento violenze verbali e fisiche, perché non vuole vedere più le sue reazioni e non ammissioni.
1° incontro individuale con Francesco
Francesco è un ragazzo molto diretto e schietto ed emerge subito la sua rabbia e aggressività. É parecchio sulla difensiva, mi comunica che sta facendo un percorso con un professionista e questo mi rassicura.
Tanti suoi problemi provengono dalla sua famiglia. Uno zio definito un po’ pazzo e pare che lui gli assomigli parecchio. Un’etichetta addossatagli, la madre molto controllatrice e poco affettuosa, ricerca la perfezione quando lei ne è il contrario, il padre per lui è una figura poco chiara, il ruolo non è definito, relazione poco empatica ed intima, ricorda poco di lui di quando era bambino, dice che è stato una figura evanescente.
Mi parla di come non è stato facile stare nella famiglia di Paola: tutti molto uniti e per bene. Si sentiva sempre un po’ fuori luogo, la sua famiglia è molto diversa, conflittuale, una madre in modalità controllo tutto io e lo zio un po’ fuori di testa. La famiglia di Paola compensava in parte quello che non aveva avuto.
Tuttavia Paola, secondo Francesco, viveva in una bolla tutta sua ed era difficile per lei accettare modi diversi di comunicare. Quello di Francesco era un modo irruento, diretto, scontroso anche, quello di Paola invece pacato, mai nessun conflitto, litigata o alzata di voce.
Mi confessa nuovamente che Paola è la donna della sua vita, non l’aveva capito prima e che anche quella “testaccia dura” che si trovava a lui piaceva e che avrebbe fatto di tutto per riavere il suo matrimonio. Chiedo se prende in considerazione che ciò possa non avvenire, mi risponde con un sorriso dicendomi che non gli interessa.
Chiedo anche a lui se posso parlare di quello che è emerso nel nostro colloquio mi dice che non ci sono problemi.
Ritorniamo ai colloqui in coppia e, apparentemente, sembra essere migliorato il clima, c’è più cordialità tra loro e sono rilassati; affrontiamo finalmente l’argomento figli e costruiamo insieme un nuovo planing sulla gestione dei tempi da aggiungere a favore di Francesco.
Paola è disponibile ma non è tranquilla, Francesco ha davvero una modalità possessiva e pretenziosa, si rompe in breve tempo una sorta di armonia che si era creata. Li ascolto e li lascio confliggere fino a che loro si accorgono del mio silenzio e si bloccano sfoderandomi una parvenza di sorriso che fa intendere: “non si può fare”.
Chiedo se sanno che cosa stava succedendo tra loro. Rispondono: è lui che mi provoca, è lei che ha sempre un atteggiamento diffidente, ecc.
Intervengo dichiarando che mi sarei presa uno spazio tutto per me e che avrei gradito un ascolto senza interventi e incomincio a comunicare che quello che accade tra di loro è solo per il fatto che continuano a vedersi come coppia, quello che sono stati e quello che hanno creato intorno a loro, continuano ad emergere dolori, incomprensioni, rabbie, vendette, posizioni diverse.
Per potersi togliere da questa modalità ci sono due vie: la prima è quella di andare a fare un percorso personale per risolvere tutte le problematiche che si portano dentro inerenti la coppia. La seconda è che incomincino a vedersi come una coppia di genitori e chiedersi che tipo di genitori vogliono essere, tutto ciò che vi portate dentro è utile per i vostri figli?

Li invito a togliere lo sguardo da come vedono l’altro in funzione di quello che hanno vissuto e a provare a vedere se l’altro è una buona madre, o se è un buon padre e incominciare a lavorare su quello che va bene e su quello che deve essere migliorato. Trovare punti di incontro per il tipo di educazione che vogliono dare, come rapportarsi ai propri figli senza creargli conflitti perché non c’è accordo tra i genitori. Insomma puntare sui figli, sul loro bene e semmai puntare su di una buona qualità come “coppia di genitori”
Un silenzio di tomba che dura 30 secondi , chiudo la sessione invitandoli a riflettere su quale via vogliono intraprendere e dico che ne avremmo parlato la volta successiva.

Tesi mediazione familiare


Quando ci rivediamo mi accolgono con un abbraccio, tutti e due e per me è spiazzante, provo imbarazzo! Lo dichiaro e mi sorridono, Paola mi chiede: perché mai? Lascio cadere la risposta, non la so nemmeno io.
Iniziano col dichiararmi quello che avevano deciso e cioè di percorrrere la seconda strada da me prospettata: provare ad essere una “coppia di genitori ” possibilmente di buona qualità.
Chiesi cosa ne avrebbero fatto di tutto il resto e mi risposero che con quell’obiettivo sarebbero stati in grado di fermarsi. Francesco dichiara che per lui è più difficile in quanto vorrebbe la riconciliazione ma che ci vuole provare, lo invito a farsi aiutare dal suo professionista.
Comunico che posso offrire degli strumenti nel momento in cui accadrà che la coppia emerga, e questo accadrà sicuramente in quanto ci vuole tempo per cambiare dinamiche, modalità comportamentali. Tutto è molto più semplice quando si sceglie: sembra banale ma basta ricordarsi quello che abbiamo scelto e la consapevolezza di tutto ciò e uno strumento molto forte.
Francesco mi comunica che si è preso un tempo di pausa con il suo professionista perché ritiene che, con i nostri incontri , si trova a lavorare molto di più su se stesso, è più produttivo, comunico che non posso interferire con il suo sentire e che devo rispettarlo, ma che finita la nostra mediazione sarebbe stato utile per lui riprendere.
Ci sono stati altri 5 incontri , non perché sia stato necessario, in quanto diventa veramente più semplice lavorare insieme, ma loro mi chiedono di seguirli nel processo. Mettiamo mano al planning, definiamo i turni nelle feste di natale, lavoriamo sulla fiducia di Paola nei confronti di Francesco come padre e sulle pretese aggressive di Francesco nei confronti di Paola come madre.

Tesi Mediazione familiare

  1. COUNSELOR E MEDIATRICE FAMILIARE
    Un mediatore familiare non è detto che sia anche un counselor ed io che lo sono devo ammettere che inizialmente ho trovato difficoltà a scindere le due professionalità.
    Faccio volontariato da sei anni presso un consultorio familiare diocesano, ambiente protetto, e le regole, protocolli professionali sancite dalle associazioni vengono un po’ sorpassate e siccome il counselor non è visto bene dagli psicologi e una sorta di guerra è in atto, voglio essere più precisa possibile, non voglio trovarmi con una denuncia, anche perchè nel mio studio è accaduto che uno psicologo si fosse presentato come cliente e lo capii per la difficoltà che creava facendomi domande ben precise
    Quindi inizialmente entrai così tanto in confusione al punto di avere difficoltà nelle mediazioni di tirocinio, mi veniva spontaneo soffermarmi sugli atteggiamenti, espressioni del viso, approfondire stati d’animo, ecc.
    Quando mi affiancavo ad una mediatrice familiare dell’Asl, la trovavo così asettica e quando di fronte alla cliente che parlava poco, e quindi non riusciva ad andare avanti, rimasi sbalordita quando chiuse la mediazione e inviò la sig.ra da uno psicologo. Quando finì la sessione, le domandai come mai non volle incontrarla da sola per capire come mai non parlasse. Lei mi rispose: questa è una mediazione e non una seduta dallo psicologo, oltre tutto lei è una psicologa.
    Anche durante le lezioni in aula, la docente avvocato-counselor e mediatrice familiare ci sottolineava che la parte esplorativa di come sta il cliente non deve troppo emergere. Meglio soffermarsi sulle soluzioni di problemi pratici e burocratici, divisioni dei beni, degli immobili, la gestione dei bimbi, ecc..
    Pensai spesso “Difficile mettere da parte una professione che amo tantissimo e investirmi di qualcosa che forse non mi apparteneva e infatti ho messo in discussione la scelta di questo corso pensando di avere sbagliato; con le mie colleghe ci confrontammo e provavamo un po’ tutte le stesse sensazioni, ma dovevamo andare avanti.
    Più andavo avanti e più emergeva che tra i clienti vi erano parecchi problemi non risolti di coppia e le mediazioni erano difficili da portare avanti proprio per i loro conflitti e rancori, e secondo me era necessario soffermarsi per parlarne e forse portare loro degli strumenti per andare avanti. In molte coppie separate accade che uno dei due non abbia accettato la separazione e confligge in continuazione creando non pochi problemi.
    Mi trovavo a contestare parecchie volte con i docenti che non era possibile essere counselor e fare la mediatrice o, quantomeno, che io non riuscivo e riconosco di essere stata noiosa, ma dovevo uscirne in qualche modo, due anni di impegno, denaro e investimento professionale non era accettabile.
    Un giorno il direttore della scuola fece un intervento dove dichiarò che si possono usare le competenze del counselor nella mediazione e che sarebbe stato una risorsa per una buona mediazione, credo davvero di essere stata salvata, mi sentii felice, sollevata e libera .
    Allentai le mie tensioni, mi lasciai andare e incominciai a mediare e piano piano imparai a gestire le due professioni, ad accorgermi dove usavo il counseling e dove la mediazione. In realtà il counselor fa da mediatore, ma spazia nell’esplorazione. Il mediatore è più mirato nel restare sulla parte burocratica da gestire, figli. beni comuni da dividere, alcuni arrivano con la richiesta di imparare a comunicare in quanto anche dopo la separazione resta difficile farlo e complica tutto, in questo caso il counselor interviene spesso.
    Nella coppie separate non sempre tutti e due sono d’accordo e quello che subisce la scelta resta arrabbiato, complicando qualsiasi cosa e credo che fare il mediatore ed essere un counselor sia un vantaggio, forse più per la coppia, in quanto possono essere seguiti e non abbandonati perché la mediazione non funziona.
    Per ora ho avuto 5 esperienza di mediazione: due con buon esito, una fallita una non conclusa e una in essere. Con quest’ultima mi sento più sicura, ho più elementi e strumenti da usare e, la cosa più importante, mi piace, mi appartiene e sono contenta di provare questa sensazione.
    Mi trovai a fare una riflessione che ancora adesso non so dove collocare. Ho avuto la sensazione già con il counseling di coppia che se alcune coppie avessero fatto un percorso prima della separazione molte di loro non sarebbero arrivate alla separazione. Ad esempio, nel primo caso da me citato la coppia in questione aveva ancora molto da condividere. Credo che oggi sia diventato molto facile separarsi, anche in presenza di figli. Forse un nuovo elemento da inserire nel rito di matrimonio sarebbe quello di dire: “nel bene e nel male e ti accetto con i tuoi difetti e mi impegno sempre a ricostruire” perchè si tratta proprio di questo. La convivenza porta a vedere la persona per come è. Questo spesso ci delude, non è quello che immaginavamo, che ci aspettavamo.
    Qualsiasi cosa accada dovremmo avere lo sguardo per poter costruire su quella delusione, sempre se non ci siano violenze o perversioni. E’ un impegno ulteriore sull’umanità della persona, limitata e “peccatrice”, inoltre quello che emerge forte è la poca conoscenza, la non relazione di base con se stessi e di conseguenza è molto difficile poter averla con altri, la mancanza di genitorialità con se stessi non permette di avere rispetto per i figli e quindi essi vengono coinvolti nei conflitti e vendette.
    Tutto ciò non permette una buona mediazione e io ritengo che sia un opportunità per la copia separata, in quanto con il mediatore possono permettersi di cadere in diatribe senza conseguenze, come invece accadrebbe davanti ad un giudice, possono cioè rivedere e discutere assieme le rispettive posizioni.
  2. CONCLUSIONE
    Lo scopo della mediazione è quello di generare buonsenso, ragionevolezza e ristabilire una comunicazione per trovare quel che è comune tra gli opposti.
    Dalle esperienze che ho fatto nell’ambito delle mediazioni e che, se pure parzialmente, ho riportato nelle pagine precedenti ho potuto osservare diversi aspetti.
    La prima cosa che posso dire è che negli incontri di mediazione si ha scarsa possibilità di entrare in contatto con le enormi ricchezze interiori che ogni essere umano ha.
    Durante gli incontri l’attenzione è focalizzata principalmente sui problemi pratici, sulla gestione dei figli, molto spesso trattati alla stregua di pacchi da collocare, sulle cose materiali ed economiche. Alcuni sono pieni di rancori e tutto quello che c’è stato di buono e bello nella relazione sembra non essere mai esistito.
    Le separazioni sono dei lutti da elaborare e a volte trovo irritante vedere come le coppie banalizzino i reciproci comportamenti, le emozioni, i sentimenti. In questo modo i lutti non possono essere elaborati perché le dinamiche in gioco fanno perdere di vista quello che è la persona con tutto quello che si porta dentro. E’ altresì vero che il nostro contesto sociale e culturale porta ad essere superficiali nella lettura dei sentimenti umani.
    Vorrei potermi soffermare, all’inizio di ogni mediazione e per almeno una sessione, a ricordare tutto quello che sono stati insieme, quello che hanno fatto, costruito, sofferto, gioito. In ultima analisi se le separazioni avvengono è perché le coppie si sono perse di vista e forse perché ognuno è perso dentro a se stesso.
    Quello che voglio dire è che questa professione deve trattare la parte più materiale delle persone ed è chiaro che non parlo di persone che hanno subito violenze psicologiche e fisiche, soprusi, aggressioni.
    Mi hanno chiesto come possa essere una mediatrice familiare non avendo mai avuto una mia famiglia e benché abbia trovato sciocca una domanda del genere, mi sono soffermata a pensare. La famiglia ritengo faccia parte di noi, abbiamo dentro la relazione genitoriale con noi stessi e questo ci permette di sentirla, viverla e di essere empatici in quel contesto. Per quanto mi riguarda la famiglia può essere composta anche da due persone solamente e non è detto che debba essere composta necessariamente da un uomo e una donna.
    Un’altra considerazione vorrei fare. Non ho ancora molta esperienza in questo campo ma, ho notato che se anche la relazione tra mediatore e cliente funziona, i clienti hanno bisogno di interpellare l’avvocato per sentirsi più al sicuro o per avere potere su quello che vogliono La fiducia è venuta a mancare e mi chiedo se ci sia mai stata
    Mi sembra di capire che l’obiettivo della mediazione, non è quello di proporre nuovi valori, ma di mettere in comunicazione quelli portati da ogni individuo. In ambito familiare, la mediazione lavora sulla responsabilità delle persone coinvolte ad assumere degli impegni come volontà di cambiamento; è importante sottolineare l’aspetto progettuale della responsabilità, cioè la proiezione verso il futuro.
    La mediazione è una sfida, per le coppie e per chi la pratica, un investimento per il futuro dei legami familiari.

Tesi mediazione familiare

Ritengo che sia un’opportunità per chi si separa scegliere la mediazione. Con il mediatore possono permettersi di cadere in diatribe senza subirne le conseguenze (come invece accadrebbe davanti ad un giudice) e possono rivedere le proprie posizioni. Mi auguro pertanto che la legge Pillon possa infine venire approvata.

  1. RINGRAZIAMENTI
    Sono grata alla vita, ho avuto molto e molto gratuitamente ed è per questo che amo fare volontariato e offrire gratuitamente il mio servizio!
    Ringrazio la mia resilienza che in questo master è stata messa a dura prova ma eccomi qui…ho portato a termine tutto!
    Ringrazio il mio compagno Bruno che mi ha aiutato nella della tesi e nella parte finanziaria.
    Ringrazio sempre me stessa e tutti quelli che hanno contribuito a diventare quello che sono!
    GRAZIE!

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